CARMINA VIRI

di Fulcanelli ©

 

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Italia anima mia

 

A fine gennaio è arrivato, sulla via della seta. Non potevamo chiudere subito gli aeroporti al partner economico più promettente, non si poteva lasciar fuori i nostri che tornavano. Ma dai, è solo un’influenza. Guarda, francesi e inglesi se ne fottono. E poi noi, noi siamo italiani, il virus ce lo mangiamo a colazione, siamo pieni di virus, siamo la culla dei famelici microrganismi unineuronali definiti politici, abbiamo in corpo la mafia, la UE, centotredici basi Nato, la Chiesa cattolica e un paradiso fiscale come San Marino, i servizi segreti perennemente deviati, la cupola delle procure e la fuga dei pochi cervelli sbocciati insieme a un esercito di figli viziati che non vedono l’ora di fare i milanesi e ancor più i londinesi, e di sfigati calabresi e lucani come maghrebini in cerca di fortuna verso altre italie.

Il miracolo sta nel fatto che non siamo ancora una lunga zona rossa come una ferita aperta in mezzo al pianeta.

Ma poi è bella, così bella questa Italia, le perdoni tutto come a un’amata un po’ zoccola che te la fa davanti agli occhi e tu la ami ancora, la ami sempre e per sempre perché fa parte di te, sta dentro di te e non te ne potrai liberare nemmeno in punto di morte. E’ la magia distruttiva della bellezza, quella che si è portata via Marilyn e la principessa di Monaco, la stessa che si ruba anche le nostre mogli, una volta così vere e forti senza trucco, e oggi bisturate e filtrate su Insta, rinsecchite dalle diete e dalla corsa all’indietro verso la giovinezza perduta.

E l’Italia, invecchiata come loro, sta sempre incazzata, odia e blatera e pretende giustizia, rispetto delle regole, le teste degli intercettati. Fa leggi e decreti contro tutto e tutti, mentre tutto e tutti cercano di scansarli, fomenta le delazioni e stritola gli appaltatori pubblici, aumenta le tasse a quelli che le pagano e non le fa pagare a quelli che già non le pagano, multa e sanziona per ogni dove ma fa patti con Google e con le banche, come i comuni che campano di contravvenzioni ma di parcheggi nemmeno a parlarne.

Qui, dove la sanità è un ricordo immolato all’altare del patto d’instabilità permanente, ospedali serrati, medici pochi e canuti, alcuni centri di eccellenza ma se ti viene un infarto a Rutigliano sei spacciato. A scuola si studia con il computer ma non si ricorda più niente, ci sono tre professori nella stessa classe ma nemmeno uno che comandi; come al lavoro, dove ormai sono operai anche i dirigenti, e persino i governi prendono ordini da Bruxelles che li prende dai cosiddetti mercati.

E in questo bailamme generale, ognuno alleva la sua sconfinata solitudine, e per l’amore, il gioco e l’amicizia non c’è più tempo, perché si corre tutto il giorno come criceti sulla ruota, sempre indietro e in colpa con se stessi.

Così ti cerco, Italia mia, campo dei miei ricordi, come chi cerca l’adolescenza tra le rovine della sua vecchia casa e i banchi della sua vecchia scuola. Ti ho perduta ma ci sono facce, mani e voci che non dimentico, mamma e papà che mi  fanno giocare in pineta,  lo zio Renato che studia a casa nostra e m’insegna a leggere e a scrivere, i primi jeans che poi andranno a mio fratello, le elementari sempre con la tonsillite, le medie con i ripetenti, il juke box coi cugini di campagna, il sequestro Moro, il liceo con la Tatulli di storia dell’arte e l’arrivo delle ragazze, i Pink Floyd e Peter Gabriel, la band di rock sinfonico, i folli amici e le redazioni dei giornali, l’esame di privato e l’ultimo di amministrativo, il tribunale, il lavoro, il primo romanzo, i gatti, mia moglie, mia figlia, la nostra casa. Le ceneri di mio padre.

Tutta qui la storia di una vita, in attesa del nulla alla mia porta chiusa.

Forse ti ritroverò un giorno, nel corso del racconto, più forte e più bella di prima.

Italia, anima mia. 

 

 

Il quarto racconto

https://www.scriptamoment.it/2020/03/16/carmina-viri-s1-e4-razzismo-e-polizze-assicurative/

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