di Flavio Andriani

scrittore

 

“Le parole   «Io non capisco nulla»  prima dimostravano solo la stupidità di chi le pronunciava,  oggi fanno grandissimo onore. Basta che le pronunciate con aria sincera e con superbia «Io non capisco nulla d’arte» e vi ponete a un’altezza  straordinaria. Questo è tanto più convincente se non capite nulla davvero.”  È uno stralcio da una famosa “ Intervista impossibile” a Fedor Dostoevskij  e le sue “Memorie del sottosuolo”.

È un po’ il grande interrogativo sull’arte contemporanea.  Oggi è possibile emozionarsi davanti a una tela del Caravaggio  e poi fingere la stessa emozione o stupore davanti a un cesso dorato di Maurizio Cattelan.  I musei affollati da masse di turisti che abusano del proprio tempo incomprensibilmente  libero, sono la gioia dei curatori e dei direttori museali.  Questi ultimi ne abusano a loro volta, organizzando stagionalmente mostre di cassetta, tipo blockbuster.  Imperversano un po’ovunque. Gli ingredienti sempre uguali, i maestri universalmente più noti e mediaticamente efficaci: da Caravaggio a Van Gogh, da Kandinskij a Pollock, da Duchamp a Cattelan. Da-a.  Spesso generiche, superficiali,  pretestuose, a volte diseducative. Sempre comunque costose.  Fondate sull’esibizione di qualche trofeo riconosciuto da tutti. Obiettivo è vendere più biglietti possibile, come a un concerto rock.

L’ultimo approdo  sono  poi le mostre multimediali in tournè per il mondo, (Van Gogh Alive 2018, Klimt Experience), grande successo di pubblico, proiezioni sofisticate, suoni sincronizzati a immagini di quadri famosi.

Mostre dematerializzate in cui c’è tutto tranne la materia prima: l’opera d’arte vera e propria. E la gente se ne torna a casa tutta contenta e più ignorante di prima.

L’arte moderna e contemporanea invece non può e non deve essere soltanto concettuale. Ai poveri artisti non resta che sudare, o giocare e sperare di entrare nelle grazie di una committenza di Stato, alimentata da ricchi magnati, veri padroni del marketing della storia dell’arte. Dal Rinascimento a oggi. Altrimenti non si spiegherebbe perché Milano è passata dalle sculture di Arnaldo Pomodoro (Disco, 1980, Piazza Meda) al gigantesco dito medio in marmo di carrara realizzato dal solito spiritoso Cattelan, messo a bella posta in Piazza Affari a Milano.  Approvato, se pur con dubbi,  dalle amministrazioni Moratti prima e Pisapia  poi.

 

 

Ai Weiwei Palazzo Strozzi Firenze

 

Oggi dunque, oltre che sulle  geniali trovate del fantomatico Banksy, o del cinese Ai Weiwei che riempie di gommoni la facciata di Palazzo Strozzi a Firenze, si discute principalmente di un cesso d’opera in oro massiccio. E se il dadaismo di Marcel Duchamp produsse l’orinatoio bianco (1917), povero,  da osservare e non utilizzare, riformulando così il contesto di un oggetto comune,  oggi Cattelan (insieme a Damien Hirst) è le punta più fastidiosa di un neo-dadaismo, furbo, burlone, strategico e costoso perché architettato  appunto dagli strateghi del marketing.  Ma tantè … Si sacrificano gli artisti autentici, sinceri,  a vantaggio di altri. Nella storia dell’arte, specie moderna,  è cosi. Per uno che entra  l’altro esce.

Domenico Gnoli o Leonardo Cremonini sono artisti immensi, intimisti, ingiustamente dimenticati e scartati dalle ultime Biennali Arte a Venezia.

 

 

Domenico-Gnoli-Green-bust-busto-verde-1969

 

“Cesso di fare arte”, disse Maurizio Cattelan  dieci anni fa. Vecchio trucco. Non gli credette nessuno.  Il suo  primo discorso in pubblico per il titolo di professore onorario di scultura all’Accademia di Carrara, è quanto di più ridicolo, grottesco e offensivo verso i veri artisti che si sacrificano.   Il vero genio è invece colui che ha rubato recentemente il suo cesso d’oro dal Blenheim Palace di Woodstock in Inghilterra. Tutti hanno pensato  all’ennesima  trovata del buontempone di Cattelan. Ma lui nega. I ladri hanno ormai due quintali di materia prima  in oro da fondere, e al diavolo il capolavoro e la sua quotazione.  Roba da viverci di rendita.  Lo spiritosone Cattelan, con meno voglia di ridere, forse solo ora se la sta facendo un po’addosso. Senza nemmeno avere più il cesso a soccorrerlo.

La domanda finale è d’obbligo: un cesso d’opera o l’opera di un cesso?

 

PH: Il-desiderio-e-la-notte-1983-Leonardo Cremonini

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Abilita le notifiche per non perderti nessun articolo! Abilita Non abilitare