di Samanta Leila Macchiarola

“ La cucina è una bricconcella; spesso e volentieri fa disperare, ma dà anche piacere, perché quelle volte che riuscite o che avete superata una difficoltà, provate compiacimento e cantate vittoria”

(Cit. Pellegrino Artusi)

In quella che è considerata l’oreficeria dell’arte culinaria e gastronomica,  penso che molti tra i lettori troveranno interessante scoprire la verità, sull’origine del ben noto pan di Spagna, ritenuto, senza dubbio, “l’ingrediente principe” della pasticceria italiana.

Andare alla ricerca dell’etimologia del nome e della ricetta che più si avvicina, per procedimento e dosi,  alla sua lontana invenzione, attirerà, mi auguro,  la golosa curiosità dei profani, invitandoli, perché no, a cimentarsi in questo campo, e, molto più probabilmente, soddisferà quanti, come la sottoscritta, si dilettano in cucina, dedicandosi non soltanto al salato ma anche al dolce.

Con questi ultimi sono certa di aver condiviso una assidua sperimentazione nella ricerca della ricetta vincente, a partire da quella di famiglia, della nonna, della mamma e, perché no, della suocera, spesso annotata a penna in appositi libricini,  passando per gli ormai poco consultati ricettari,  per finire con le ricette offerte dal web, tra tutorial, forum e immagini dettagliatissime… Con loro ne ho atteso e controllato la cottura, ho ripetutamente scrutato, con divieto tassativo di aprirlo, il forno, ne ho assaporato il profumo quasi inebriante, nella speranza che il risultato fosse invitante alla vista,  soffice e morbido al tatto, gustoso e leggero al palato…L’udito sarebbe entrato in gioco più tardi, attraverso gli apprezzamenti e il plauso di amici e parenti, bambini ed adulti, invitati a condividere tanta bontà.

Perché in questo dolce che, nonostante il nome,  è un’invenzione tutta italiana, e senza il quale sfido ad immaginare una festa di compleanno o una ricorrenza che meriti di essere tale, entrano  in gioco, “sinestesicamente”, tutti i sensi…

Ebbene, occorre tornare indietro nel tempo, alla Madrid della metà del‘700, quando ispirandosi molto probabilmente alla ricetta dei savoiardi piemontesi e a quella di alcuni biscotti portoghesi del secolo precedente, Giovan Battista Cabona, detto Giobatta, ideò per la corte spagnola quello che in un primo momento sarebbe stato battezzato dai reali “pậte génoise”, e che, successivamente,  con alcune modifiche e semplificazioni avrebbe dato vita al “pan di Spagna”.

Piacque al talentuoso pasticciere ligure, al seguito del marchese Domenico Pallavicini, ambasciatore genovese presso il re di Spagna, Ferdinando IV,  inventare questo dolce, direi, di nuova generazione, dando origine ad una vera e propria leccornia, alla quale venne, appunto,  assegnato un nome che desse lustro alla sua città natale.

Uova, zucchero, farina e, molto probabilmente, burro, furono gli ingredienti che, sapientemente dosati e lavorati, resero possibile la nascita della Pasta Génoise, in un’epoca in cui, in assenza di robot da cucina e planetarie, il risultato era tutto affidato ad un faticoso e costante lavoro di frusta.

Senza contare il fatto che tale invenzione ebbe origine utilizzando forni alimentati a legna, in cui mantenere costante la temperatura era una vera e propria sfida e di funzioni statiche e ventilate, per chi è del campo, fondamentali per una buona riuscita di un dolce, non vi era neppure l’ombra.

Tra le curiosità, si pensi che, proprio per ovviare eventuali problemi di cottura, sia la Pasta Génoise che , in seguito, il Pan di Spagna  venivano, talvolta, cotti in una teglia appoggiata su una pentola di acqua bollente. Ma andiamo alle differenze tra le due ricette, differenze che finirono con il determinare un nuovo nome per questo dolce che,  in onore e ricordo della corte che ne aveva decretato il successo, fu battezzato come Pan di Spagna. Ad un certo punto, infatti,  forse perché la Spagna non era una produttrice di burro, forse perché si volle rendere più leggero il risultato, fu proprio questo ingrediente ad essere bandito in favore di un procedimento non più a caldo ma a freddo.

Mi spiego meglio e, a conferma di ciò, faccio riferimento a Pellegrino Artusi e al suo omonimo e celeberrimo libro “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” del 1891, generalmente chiamato ricettario “Artusi”.

L’appassionato gastronomo distingue, appunto, le due ricette per la presenza del  burro, ma si confonde quando suggerisce  la possibilità di un procedimento a caldo per il Pane di Spagna, procedimento, invece, tradizionalmente indicato per la Pasta Génoise. Per procedimento a caldo, mi rivolgo ai più curiosi,  si intende che uova e zucchero vanno montate a bagnomaria “in una bacinella di rame o di ottone,  sul fuoco, alla temperatura di 20 gradi…” (cit. P. Artusi, ricetta n. 586).

Sulle dosi, tuttavia, vi assicuro per averlo sperimentato, Artusi  non sbaglia.

Per il Pane di Spagna suggerisce la seguente ricetta che non contempla assolutamente l’uso del lievito, all’epoca, tra l’altro, sostituito, quando necessario,  dal bicarbonato e dal così detto cremor di tartaro. Il lievito per dolci, infatti, in quanto prodotto chimico, ha una storia alquanto recente: fu un farmacista tedesco, August Oetker, a scoprirlo nel 1891 e, successivamente, a brevettarlo nel 1903. Qualche decennio più tardi, in Italia, un garzone di drogheria, Ettore Riccardi, inventò, nel 1932,  il noto lievito vanigliato Pane degli Angeli.

 

Pane di Spagna (ricetta n.599)

Uova, n.6.

Zucchero fine in polvere, grammi 170.

Farina d’Ungheria o finissima, grammi 170.

Odore di scorza di limone a chi piace.

 

Per il procedimento, con il suo inconfondibile stile, così precisa:

Dimenate prima i rossi d’uovo con lo zucchero, poi aggiungete la farina, asciugata al fuoco o al sole, e dopo una lavorazione di circa mezz’ora versateci due cucchiaiate delle sei chiare montate per riammorbidire il composto, indi il resto mescolando adagio….

Cuocetelo al forno”.

 

Cos’altro aggiungere?

Se avete avuto la pazienza di seguirmi fin qui, non vi resta che sperimentare o far sperimentare la ricetta, di cui vi propongo, in quanto a dosi, anche quella di un’abile e instancabile donna, che oggi si direbbe“ d’altri tempi”, per lungo tempo a me familiarmente e affettuosamente vicina.  Il suo suggerimento è quello di contare tanti cucchiai non rasi di zucchero e di farina quante sono le uova che si intende utilizzare.

La “qualità” del risultato, come lei precisava, dipende dal lavorare a lungo le uova con lo zucchero e dalla tassativa esclusione dell’uso del lievito. Per la cottura, riguardo alla quale Artusi non dà indicazioni, il consiglio è quello di cuocere in forno statico preriscaldato a 180 °.

Vi auguro, allora, di provare “…compiacimento” e di cantare “…vittoria”, al più presto!

 

 

2 thoughts on “Le verità nascoste del Pan di Spagna

  1. Grazie per averci edotti su quest’arte culinaria in maniera tanto originale ed efficace! Proverò a realizzare questa ricetta senza lievito .

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