di Dunia Elfarouk

Se vi è chi sostiene che la questione metafisica così come quella specificatamente legata alla condizione dell’uomo nel mondo risulti inspiegabile in termini filosofici, c’è chi, da sempre, ovverosia l’artista, offre una lettura istintiva, non mediata da categorie intellettuali rigide, non cronicistica bensì perenne perché costituita da una conoscenza intuitiva in cui, lockianamente, l’esistenza come l’accordo o il disaccordo tra idee è colto immediatamente e in virtù di queste stesse idee. Pessina tale opera di acuta e tagliente, sofisticata e nobile lettura la attua oggi attraverso l’ironia sorniona di chi non vuole e non intende dare soluzioni ragionevoli  e forzatamente logiche ai (non)limiti dell’immaginazione.

La duplicità e contraddittorietà che dell’uomo può essere un limite, Pessina la raffigura, questa volta, attraverso l’emblema più biblico, metafisico e, nello stesso tempo, popolare che esista: la mela del peccato originale.
Uno scultore impegnato dagli albori delle sue intraprendenze artistiche in viaggi totemici e mistici diviene, non d’improvviso, ma forse, comunque, a sorpresa, sarcastico narratore dei moventi più archetipici dell’essere umano: la conoscenza, la felicità, il mistero. La violazione di quest’ultimo. E perciò il peccato.
Se dinanzi alla tentazione del peccato, senza parafrasare l’abusato Wilde, l’uomo cede per dar prova a se stesso dei suoi slanci e dei suo intuiti primordiali  (e non soltanto) da appagare, così il Maestro suggerisce di esaminare la consumata tentazione, i suoi desolanti e comunque non disperati esiti. E di non farsene, in fondo, cruccio, poiché il vero mistero probabilmente risiede nell’accogliere la frustrazione che deriva dall’appagamento medesimo. Nella duplicità e irrisolvibile ambivalenza dell’animo umano non può esserci soddisfazione del desiderio di felicità (l’unica volontà che accomuna ogni uomo) senza la contrazione (e privazione) di una parte della propria essenza vitale.
Sorride, Pessina, mentre teorizza ad alta voce la sua rappresentazione anti-filosofica e profondamente personale. La elegge quale baluardo cui riferire la sua sintesi di pensiero. E lo fa collocando fisicamente, moniliticamente il frutto proibito all’accesso di un luogo a tratti effettivamente paradisiaco, è il caso di dirlo. E di sosta del pellegrino. In un’Umbria pronta ad inaugurare il solstizio d’estate che ha appena raggiunto i frutteti colti a maturare, gli ulivi dalle ampie fronde, le campagne così verdi da apparire un vero e proprio diorama incantato. Nella magica notte di San Giovanni, presso il Poggio dell’Artista, struttura situata in prossimità del lago Trasimeno, a Castiglione del Lago.
Ne sorride, di nuovo, il Maestro, dell’opera medesima, perché  “l’artista non deve mai essere preso sul serio, principalmente da se stesso”, è questa la sua affermazione più frequente. Non deve mai offrire una narrazione troppo dettagliata e intellettuale del suo creare, bensì, a suo parere, dovrebbe evocarla attraverso suggestioni consapevolmente incompiute. Con lo stesso tono, poi, l’artista sorride con velata malinconia della distanza paesaggistica e geomorfologica rispetto all’isola eolica, l’amata Filicudi, in cui vive e lavora ed in cui ha concepito le mele della tentazione. È lì che partorisce le sue visioni, poiché l’ideazione, la gestazione e la venuta alla vita non possono che trovare accadimento in prossimità dell’acqua, ritiene Pessina. Tuttavia è in questo nuovo approdo terrestre che colloca le sue creature ivi più adatte a trovare dimora.
Lo stesso accade per l’enorme mestolo in acciaio che al centro del grande cortile costituisce fonte, simbolica sorgente che attribuisce ad un oggetto di uso quotidiano un senso completamente nuovo e inaspettato. L’autore si rifà all’allegoria della coppa, in grado di raccogliere i doni dell’esistenza. Di una Provvidenza non per forza divina e legata a una visione biblica e finalistica, piuttosto di un senso di restituzione al singolo da parte di un Ordine cosmico di spinoziana ispirazione, secondo cui esiste una sorta di Teorema eterno da cui le cose scaturiscono e conseguono in forza di un nesso necessario. Così l’acqua scorga secondo leggi meccaniche e matematiche dalla sorgente in un mondo che si esprime come un eterno e inevitabile materializzarsi di determinate conseguenze in forza di altrettanto precise premesse. Goccia a goccia. Quindi, in sintesi, in onore ad un criterio di ricompensa o sottrazione rispetto al contributo offerto dall’individuo al compiersi di una geometria universale di ordine superiore.
Il mestolo, strumento di uso comune, suggerisce che anche nella semplicità dei riti legati all’aspetto consuetudinario della vita può celarsi il segreto di una categoria fondamentale esplicativa della realtà, sottintendendo la simultanea esistenza di multipli significati e piani di lettura vari e diversificati. Così come avviene in una metafora poetica che racchiude il segreto parallelismo tra realtà e idea.
Dunque, anche in questa sede, l’arte di Francesco Pessina non tradisce la sua costante sfida nel contempo razionale e metafisica rivolta ad illuminare le zone d’ombra dell’animo umano così inspiegabilmente avido di ineffabile dagli albori della sua edenica esistenza.
Il Maestro risulta essere regista di una perfetta proiezione plastica della bramosia umana, come è solito, esprimendosi al di fuori delle catene della storia e del presente. Cosicché il paradiso terrestre da lui allestito secondo le regole del disincanto e della causalità immanente si offre suscettibile di traduzioni molteplici che trovano soluzione soltanto in un abbandono dell’intelletto verso la formula immutabile dell’intuizione del singolo e del suo ineluttabile desiderio di valicare i confini proibiti della conoscenza e della conseguente profanazione della verità.

1 thought on “Il Peccato Originale scolpito da Francesco Pessina

  1. Questa estate ho avuto l’occasione di visitare l’Umbria e conoscere il “Poggio dell’Artista”… un vero paradiso agreste dove sono collocate le bellissime e originali opere che descrivete! Anzi si è circondati in piscina da altre statue di pietra lavica, oppure da “cavalli alati” in legno sospesi in aria nel loro volo o da soldati in legno e pietra che ti fanno una meravigliosa compagnia muta senza così disturbare i suoni della natura di quel particolare magico luogo. Uno spazio intimo e nascosto da scoprire per rigenerarsi!
    Andrea da Milano

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