Razzismo italiota
di Roberto Oliveri del Castillo
magistrato e scrittore
Una vulgata diffusasi negli ultimi 25 anni, grosso modo con l’esplosione del fenomeno “leghismo”, ha molto sottolineato e censurato la prassi politica, invalsa soprattutto dagli anni ’60 del secolo scorso, di politiche assistenzialiste alle regioni del Sud, con le risorse del ricco Nord produttivo.
Su tali argomenti il “leghismo” ha costruito le sue fortune politiche sin dai primi anni ’90, al grido di “Roma ladrona”, “Sud parassita”, “indipendenza del Nord” e così via, quasi che tutti i mali dell’Italia che produce fossero sintetizzati nella parola “Sud”, e che l’unica soluzione fosse staccarsene.
A prescindere dal fatto che nulla è eterno, che ciò che è stato unito da una operazione geopolitico-militare, con l’ausilio di potenze straniere come Francia e Inghilterra, può sempre essere pacificamente separato, consensualmente e con liberi referendum (e non con plebisciti-farsa come in occasione dell’unità d’Italia nel 1860), e che il Nord se ritiene può indubbiamente pensare di rescindere l’unita della nazione, a condizione, ovviamente, di restituire al Banco di Napoli gli oltre 400 milioni di lire in risorse auree confiscate dai Savoia al Regno dei Borbone, entrate a far parte del patrimonio aureo del Regno d’Italia), bisogna pur porsi qualche domanda.
I fatti sono realmente come vengono esposti da questa facile vulgata di provincia? Esiste sul serio questo Sud improduttivo che consuma le risorse del Nord? O invece, scavando un po’ nel passato e nel presente, troviamo che è vero il contrario, ovvero che storicamente il Nord ha ampiamente saccheggiato le risorse del Sud, le sue energie migliori, e ha continuato per decenni a destinare percentuali minime di bilancio alle infrastrutture del Sud a vantaggio del Nord, più omogeneo alla nuova classe dirigente sabauda?
E a tutt’oggi, continua o meno, con la complicità delle organizzazioni criminali e di una classe politica meridionale collusa e corrotta, ad utilizzare il nostro Meridione come una colonia d’oltremare, una terra da riempire di spazzatura spesso pericolosa come una enorme discarica, per traffici illegali, o con industrie obsolete ed inquinanti come l’ex Ilva, lasciandoci in una costante situazione di sudditanza?
E infine, quello che sta accadendo intorno al calcio, con cori razzisti e discriminatori in molti stadi del centronord sempre contro Napoli e i napoletani, visti come simbolo di “Sud”, di “diversità”, di “minorità socioculturale”, con agguati organizzati da centinaia di teppisti contro una carovana di tifosi napoletani con famiglie al seguito, è ancora qualificabile come follie di pochi facinorosi, oppure è ormai reale sintomo di una società malata di razzismo e di odio discriminatorio nei confronti del “diverso”, di colui che appartiene ad altra collocazione geografica, il meridionale per antonomasia?
Una riflessione su questi temi può partire proprio dal calcio, visto ormai come cifra e metafora della nostra società, con regole, sacrifici, ruoli, capacità di esprimersi attraverso il collettivo e l’integrazione nel collettivo dei singoli più dotati, con conseguente emarginazione dell’”egoista” che non passa mai la palla al compagno. Ma laddove poi emergano vicende di violenza e razzismo strisciante come dimostrano i gravissimi fatti di Milano del 26 dicembre scorso (a proposito, ma le forze dell’ordine dove erano? La scorta ai tifosi avversari che nell’incivile ed arretrata Napoli viene praticata da anni, era stata prevista?), le stesse sono l’ennesima riprova che probabilmente la malattia non può essere confinata al mondo del calcio, ed ha invece contaminato ed eroso le radici stesse della nostra convivenza civile.
Proviamo allora a riflettere su quanto questo razzismo strisciante, carsico, che esplode e viene in emersione ciclicamente in occasione di incontri di calcio (dove le tifoserie avversarie si coalizzano addirittura insultandone una terza estranea, o organizzando addirittura agguati armati nei confronti di famiglie inermi che si recano allo stadio), sia profondo, e quanto radicato nella nostra società, poiché quanto più queste radici affondano nella storia, tanto più sara’ difficile estirparlo e bruciarlo come si conviene ad una gramigna che soffoca la pianta buona.
PICS: Ernesto Treccani, popolo di volti, 1975