di Giovanna Francesconi

Studio in Bocconi; ho un attico in corso Como; vado in giro con Enjoy; mangio solo sushi dal lunedì alla domenica, a pranzo, a cena, a volte, anche a colazione; alle 19:00 faccio ape; alle 17:00 faccio pausa con centrifugato drenante; gioco solo a paddle; faccio selfie al Duomo almeno una volta al dì; faccio selfie con il pigiama coordinato alla tazza Starbucks vuota, (perché non importa che ci sia davvero il caffè), almeno una volta al dì.

Faccio selfie con il ricercatissimo outfit da lavoro, almeno una volta al dì.

Parlo ai miei followers con la presunzione che siano interessati alle cavolate che dico, più volte al dì. Ho una vita frenetica e 24 ore per fare tutte le history che vorrei, non mi bastano.

Sono disperato, più volte al dì.

Sono il tipico milanese dalla “e” terribilmente aperta.

Peggio del milanese nativo, però, c’è solo il barese che va a studiare-lavorare a Milano.

Come spiegherebbe Piero Angela, quasi fosse un processo di trasformazione naturale necessario per la sopravvivenza della specie, il barese imbruttito cambia accento, diventa sofisticato, preferisce il sushi alle “tagliatelle”, è sempre a dieta anche se vorrebbe mangiare persino il personal trainer.

Tuttavia, il barese non rinnega mai le sue origini.

Non può e non deve trascurare la sua rete di rapporti con gli amici compaesani.

Ecco che, tra una stories e un’altra, la foto del “pacco da giù”.

Un pacco tanto capiente da surclassare persino la borsa di Mary Poppins.

Taralli, insaccati, carciofini sott’olio, salsa della nonna, provolone piccante, tutto rigorosamente documentato nei frames di quei maledetti trenta secondi.

Il momento di massima stramberia, però, si verifica quando il barese, che è diventato milanese, torna a casa per il Natale o per le feste in genere.

Ormai il suo processo di trasformazione è giunto a termine.

Si è evoluto.

Non può più fare a meno di utilizzare certe espressioni tipiche della sua vita da vipss: “facciamo ape”, “vado a studio”, “Cochina?”.

Mentre i suoi amici lo ammirano spaesati, increduli di codesta repentina metamorfosi, ecco che il barmilese (consentitemi la crasi per identificare il genere) ruba la scena dei social con questa immagine:

500 likes-base per un pezzo di focaccia croccantissima, due Peroni e la vista più bella del mondo, tra baresi orgogliosi delle loro tradizioni e milanesi estasiati per i colori, il mare tutto l’anno e l’invidia nascosta per questa semplicità che non conoscono.

Non è una barzelletta, purtroppo, ma una triste realtà.

Al di là delle concrete opportunità che offre la “Metropoli”, quanto crescerebbe Bari se tutti spendessero per questo patrimonio il 10% delle energie utilizzate per salire e scendere dalla metro Zara?

È l’esasperazione di un atteggiamento, di una moda, a prendere il sopravvento.

Viviamo, a mio parere, in un posto bellissimo, che deve essere valorizzato, curato, amato e MAI abbandonato.

POTERE AL SUD CON LA PERONI IN MANO E NON IN FOTO!

7 thoughts on “Focaccia e Peroni hai rotto i coglioni

    1. Grazie per i complimenti, gentilissimo Bruno. Vorremmo che i tuoi aggettivi contraddistinguessero tutti i nostri articoli. Anche le critiche sono molto ben accette se costruttive

  1. Ho letto l’articolo. Non ho capito chi lo ha scritto (figurano due se non tre nomi). Soprattutto non ho capito cosa voglia dire. Se la prende con gli emigrati? Per gli atteggiamenti? Perché non dedicano abbastanza energie per far crescere Bari (magari nessuno glielo chiede, o magari vengono ignorati)? Oppure se la prende con lo stereotipo di Bari (ma il titolo non rispecchia il contenuto)? Ribadisco: sono io che non ho capito.

  2. “Al di là delle concrete opportunità che offre la “Metropoli”, quanto crescerebbe Bari se tutti spendessero per questo patrimonio il 10% delle energie utilizzate per salire e scendere dalla metro Zara?

    È l’esasperazione di un atteggiamento, di una moda, a prendere il sopravvento.

    Viviamo, a mio parere, in un posto bellissimo, che deve essere valorizzato, curato, amato e MAI abbandonato”

    Parole sicuramente belle ma pare che la “colpa” sia di chi il posto lo abbandoni e non delle condizioni che spingono ad allontanarsi dalla propria città, dalla propria famiglia e dai propri affetti.
    La maggior parte non va via per moda ma per esigenza.
    Se si vuole ironizzare sulla tendenza sempre più frequente ad essere “social”, il discorso fila e fila a prescindere che la instagram story sia ambientata a Milano, a Bari o a Melitto ma il discorso di chi abbandona e non investe lo trovo poco, sinceramente, poco condivisibile.
    Potere al Sud con la speranza che possa ritrovare tutti i suoi figli.

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