di Ginger Bouvard

Figure eteree di donna, ombre rarefatte, bianco e neri di inquietudini e miraggi. Così la forza espressiva di Giacomo Vanetti prende forma e nuove dimensioni. Parallele.

Giacomo mi accoglie nel suo studio, in una Varese infreddolita, particolarmente rigida sia nelle temperature invernali  che nella inaspettata congestione del traffico. Entro nel suo sacro luogo creativo e, rabbrividendo,  gli chiedo in tono scherzoso un gin tonic, per riappropriarmi delle energie vitali; è così, per lo meno, che giustifico la mia alcoolica richiesta. Infine, preferiamo indirizzare la nostra preferenza verso un bicchiere di merlot e, soprattutto, un tuffo ad occhi e cuore spalancati nella sua fotografia.

Conveniamo da subito entrambi sul fatto che l’arte, giocoforza, non può che essere una spinta esagerata, visionaria, anche e soprattutto orgogliosamente eccessiva verso la sperimentazione pindarica senza reti di sicurezza. I corpi di donna che ritrae sono depurati del superfluo, scarnificati di ogni esteriore appendice all’essenza: si muovono con linee quasi impalpabili tra luce ed ombra. Per  trasmettere il senso onirico di una presenza assenza. Si raffigurano come un’Iliade di significati astratti, chiaramente corporei eppure intangibili.

Lo si vede da come le racconta le sue opere, con passione vibrante e uno sguardo lucido di emozione commossa, che la tensione creativa a guidarlo è un’aspirazione quasi trascendente la fisicità. Realizza le sue introspezioni figurative con ispirazione profonda e cura sapiente della tecnica, contemperando esigenze introspettive e precisione stilistica. Le figure sono sì femminili, ma paiono appartenere ad un nuovo genere oltre i generi, né terreno né alieno, più verosimilmente una sorta di platonica commistione di essenze.

Corpi di donna emancipati dal dovere di sembrare, di rappresentare e di identificare. Una donna libera dalle strutture estetiche, quindi, in cui la figura non è altro che l’emanazione di un concetto filosofico semplice: essere è l’atto più essenziale (il verbo stesso lo suggerisce) e pertanto scevro da strutture, costruzioni, costrizioni e condizionamenti .

Le forme vengono annullate,  quasi a voler trarre lo spettro, o meglio, l’anima del soggetto ritratto, cosicché ogni manifestazione figurata appare interiore e slegata da ogni sorta di coscienza fenomenica.

Qualcuno disse: “Sei qui solo per una breve visita. Non affrettarti, non preoccuparti. E assicurati di annusare i fiori lungo la strada.” Vanetti pare proprio partire da questa consapevolezza: l’evanescenza del reale, la poesia che risiede nel mistero, la fuggevolezza della magia che è sorpresa lungo il cammino.

Nelle opere di Giacomo Vanetti le anime femnminili non albergano. Esistono.

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