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di Marco Pezzella

attore

 

“Sono arrivato penultimo. Dettagli.”

 

È la settimana del Festival e, che piaccia o no, sono giorni in cui tutti dicono qualcosa su Sanremo.

Accade anche nelle settimane che seguono le tornate elettorali o i mondiali di calcio.

Tutti allenatori e Presidenti del Consiglio.

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Un tale grado di conoscenza e consapevolezza diffuse genera un fluire di pensieri e una selezione social-naturale rilevanti.

Si sfasciano amicizie e si sfiorano tragedie in famiglia, ma tant’è.

È la settimana di Sanremo dicevo.

Da buon italiano o italiota, decidete voi, ho creato per gioco una playlist dal titolo “perchésanremoèsanremo” su Spotify: quante canzoni mi ricordo dei festival che ho visto (dal 1993/1994 a memoria) e quante di queste sono diventate dei brani evergreen?

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Declinata oggi la parola “evergreen” credo possa tranquillamente identificare quei brani che a cena o in auto con estranei ti fanno assurgere a grande conoscitore di musica e/o artista di sorrisi sulle bocche di quanti fanno parte della tavolata o della macchina in viaggio.

Così ho iniziato a setacciare una sequela di schede sulle varie edizioni del Festival di Sanremo.

Per sentito dire tutti sappiamo che ci sono passati Vasco Rossi, Zucchero, Iva Zanicchi, Rino Gaetano, Ron, Lucio Dalla, Nicolò Fabi, Max Gazzè e Daniele Silvestri, Ornella Vanoni…

Senza troppi affanni sono arrivato a raccogliere sulla playlist più o meno centoventi canzoni e fra, “Senza averti qui” degli 883, “Non amarmi” di Aleandro Baldi e qualche incredibile buco nero sanremese – che, mea culpa, confesso – mi sono bloccato sui penultimi posti.

Canzoni ignorate, dimenticate o tralasciate.

Sì, il podio interessa a tutti, il primo posto, la vecchia che danza, la scimmia che balla, i passi di “Salirò”, ma, seriamente, quante canzoni sono arrivate ultime, penultime o sono rimaste nel mezzo? Magari ballando il limbo? E come l’hanno presa gli interpreti? Testa bassa e via? Come codino Baggio a USA ’94.

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I grandi, dunque, sbagliano. Devono sbagliare per diventare grandi, che siano penultimi o ignorati dalla platea dell’Ariston.

Donne, Zucchero, 1985. Penultimo.

Vita Spericolata, Vasco Rossi, 1983. Penultimo.

Maledette Malelingue, Ivan Graziani, 1994. Dimenticato.

Gianna, Rino Gaetano, 1978. Avrebbe voluto portare Nunteregghepiù. Quarto.

Continuando questa ricerca musicale ho trovato un’immagine divertente che esaltava – in modo ironico – i longterm goals (obbiettivi a lungo termine).

Le mie sinapsi hanno reagito e ho iniziato a pensare che probabilmente una sconfitta, un penultimo posto o finire al centro della classifica non può essere così psicologicamente svilente. Anche a Sanremo. Anzi.

“Non bisogna necessariamente vincere e fare continuamente gare”.  Parole che mi ripeteva un prete quando ero bambino.

“Basta sedersi e ascoltare”, questo invece lo diceva Lucio Dalla, mio idolo.

Entrambe le frasi racchiudono lezioni di vita.

Ascoltare canzoni, storie di quelli che hanno voglia di raccontare, senza sentirci perennemente in gara.

Il goal deve essere segnato con noi stessi non con gli altri.

E se in gara con gli altri arriviamo ultimi o penultimi, che importa? Dettagli.

Le conclusioni, come i rigori, si tirano sempre alla fine. E se sbagliamo un rigore, testa alta e via.

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